La storia del Partito socialista è la storia dell’Italia: nelle luci e nelle ombre, nel bene e nel male. A partire dalla sua stessa costruzione, in cui il grande protagonista ottocentesco dell’Unità d’Italia, Giuseppe Garibaldi, fu insieme antesignano e guida prestigiosa e carismatica. Nella lunga vigilia che caratterizzò l’avvio del vero e proprio socialismo di partito, l’Eroe dei due mondi fu infatti simbolo e rappresentante delle pulsioni più genuine e naturali del socialismo delle origini, a partire da quelle protese a conquistare eguaglianza e solidarietà per tutti gli uomini.

Il primo e più antico partito dell’Italia unita nasce a Genova nel 1892, ultimo tra partiti laburisti ed operai che erano scaturiti dalla rivoluzione industriale, realizzatesi nel corso dell’Ottocento nelle grandi nazioni d’Europa. Esso nasce con caratteristiche uniche, che lo segneranno per molti decenni. Il Partito socialista italiano delle origini è infatti l’unico in Europa che muove i primi passi partendo dal basso: dall’organizzazione delle masse contadine, giacché è spinto a riconoscersi ed a coalizzarsi innanzitutto a difesa del bracciantato misero e sfruttato delle campagne della pianura padana. È a causa di questa origine che il genio del suo primo parlamentare, Andrea Costa, lo spinge a prendere a prestito dalla liturgia cattolica le forme primordiali del suo riconoscimento e coinvolgimento collettivo, utilizzabili per dare forma all’avvio del movimento socialista, giacché esse sono le sole riconoscibili e vitali per il popolo a cui egli si rivolge e per le tradizioni sociali e culturali di quelle terre. È anche per questa ragione primordiale che l’inevitabile violenza che accompagnò le sue prime lotte si tradusse anche in un anticlericalismo militante che assunse forme esplicite di antireligiosità, tali da caratterizzare tanta parte delle sue iniziali modalità di aggregazione tra i ceti colti ed i capi del nascente movimento. A questa spinta estremizzante e dottrinaria si contrappose nel tempo una scuola riformista che fece capo ad un grande socialista lombardo, Filippo Turati, a cui si affiancò, pur criticamente, una forte tradizione ed una elevata esperienza politica mossa dal pensiero democratico e socialista meridionalista. La rottura che si realizzò, nel sangue e nella violenza, con la guerra mondiale del 1914/18 fu certamente all’origine delle altrettanto gravi fratture che seguirono, in particolare quella mossa dall’azione di Mussolini e dall’avvento del Fascismo e l’altra, innestata nella Rivoluzione Russa e realizzata con la scissione del PSI nel Congresso di Livorno, da cui nacque nel 1921 il Partito comunista. Ma nella lunga, attiva vigilia che precedette la caduta del Fascismo e la rinascita della Nazione democratica non possono essere dimenticate la sintesi preveggente del socialismo liberale di Carlo Rosselli, il rigore dei gruppi socialisti che concepirono la Resistenza come rivoluzione democratica e infine, dopo il 1943, la battaglia aperta e combattiva del Partito socialista di Nenni per l’avvento della Repubblica e la costruzione della nuova Costituzione. I Settanta anni della Repubblica hanno visto il PSI, anche qui nel bene e nel male, protagonista decisivo nello sviluppo della vita nazionale e nel progresso dei lavoratori sia imponendo, con l’azione di Pietro Nenni, la scelta repubblicana e costituzionale, sia passando per il grave errore, addebitabile in gran parte ancora a Nenni, di legarsi, a partire dagli anni 1946/48, alla politica del PCI,  di fiancheggiare acriticamente la sua posizione legata all’Unione Sovietica, anche contro la preveggente posizione di Saragat; sia nello sbocco autonomistico e filo occidentale che sempre Nenni seppe, dopo il 1956, assicurare ai socialisti, portandoli all’incontro con la DC ed al primo governo di centro-sinistra all’inizio degli anni ’60. Il fallimento “di sistema” a cui portò l’apertura di questa operazione può essere inscritto, oltreché alla debolezza del Partito ed alla forte opposizione del PCI, all’impossibilità di giungere a modificare l’assetto istituzionale definito nel 1948 e fondato sui partiti, che aveva innestato metodi e inefficienze degenerative nel funzionamento e nell’assetto del sistema politico. Un obiettivo tentato coerentemente dal PSI di Craxi dopo il 1979, ma fallito ugualmente: anche se questo grande leader del socialismo moderno garantì comunque un lungo decennio di buon governo, capace di accompagnare il Paese per una fase di sviluppo  che non è stata dopo più eguagliata. L’impossibilità o l’incapacità di spingere a realizzare in quegli anni la “Grande riforma” furono infatti fatali per un partito “medio e intermedio” quale era il PSI, come era stato correttamente identificato negli anni ‘60. E la conseguenza inevitabile fu il crollo del PSI di Craxi, la morte in esilio del suo protagonista, la dispersione di quella grande esperienza, come dello stesso movimento socialista e della sua innovativa classe dirigente

L’obiettivo che intendiamo proporci è mantenere vivo ed attuale il frutto di quella positiva esperienza affinchè possa tornare a fruttificare a sostegno di tutta la Nazione italiana