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Sull’Avvenire dei lavoratori un testo a puntate di G. Acquaviva
dedicato alla figura e all’opera di Bettino Craxi

e-settimanale della più antica testata della sinistra italiana 
Direttore Andrea Ermano
www.avvenirelavoratori .eu

Nel ventennale della morte di Bettino Craxi, l’Avvenire dei lavoratori pubblica a puntate, a partire dal numero del 30/1/2020, un testo  scritto da Gennaro Acquaviva nel 2002 per la rivista “Reset” dedicato alla figura e all’opera di Bettino Craxi

NOI, IL GRUPPO DI CRAXI
di Gennaro Acquaviva

Tra salve di ‘osanna’ e di ‘crucifige’ le roboanti ricostruzioni di questo ventesimo anniversario dalla morte ad Hammamet non aiutano molto a comprendere quello che Bettino Craxi è stato: un personaggio complesso, ultima grande personalità politica del Novecento italiano. Nel ricordo di Gennaro Acquaviva, suo stretto collaboratore, riproponiamo qui una ricostruzione di “quegli anni”, scritta all’indomani della scomparsa del leader socialista e poi pubblicata su “Reset” nel 2002. Acquaviva ricorda il primo incontro con un deputato quarantenne milanese, il Midas, la conquista del PSI e di Palazzo Chigi, la vicenda degli Euromissili, la battaglia intorno alla Scala mobile, la riforma del Concordato… Ascesa e caduta di un gruppo dirigente capace, coeso e naif: Il gruppo di Craxi. Fu quel gruppo, alla guida del PSI che, conquistato il governo del Paese, impresse all’Italia un ultimo importante impulso di progresso politico, sociale ed economico. Acquaviva ripercorre qui le tappe del lungo “decennio craxiano”, tra la morte di Aldo Moro e la caduta della Prima Repubblica, trattando con sana dissacrazione il paludato tema del potere.

Il mio apprendistato politico si è realizzato nella società civile, fu costruito nel momento, anche fuori dalle regole, non nell’istituzione. Eppure anche io vengo da una generazione che era convinta che la politica si facesse attraverso i partiti; per molti di noi fare politica significava innanzitutto dare valore e peso all’aggregazione, allo stare insieme, all’essere con altri, con molti; che “solo l’unione fa la forza”. Era così vero che senza il mio partito, ho dovuto riconoscere in questi anni, mi è quasi impossibile esistere politicamente, vivere a fondo la mia originalità, riscontrare senza sforzi sovrumani una rotta coerente con i valori in cui credo.
Come me, più di me, l’esperienza e la vita di Bettino Craxi senza il suo partito è impensabile, è impensabile addirittura la sua stessa capacità di innovazione, il suo perenne battagliare contro torri e castelli, ideologie e poteri. Ripeteva, a volte, quello che Nenni sembra avesse come regola di lavoro politico: “Datemi una dattilografa e un telefono; al resto ci penso io”. Però, alla fine, non era vero: anche lui sapeva che la lotta ha bisogno di forza, che la forza la si costruisce e la si mantiene nell’organizzazione, che c’è bisogno di addestrare e stimolare una squadra, che, alla fin fine, “senza squadra non c’è allenatore”.
Quando nel luglio del 1976 Craxi diventò, improvvisamente ed anche casualmente, segretario di un partito, di un partito con una lunghissima e complicata storia alle spalle, queste idee le aveva ben chiare nella sua mente perché le aveva sperimentate fin da ragazzo. Qualche volta raccontava del suo apprendistato di segretario di zona nella Stalingrado d’Italia”, e cioè Sesto S. Giovanni. La sua Federazione, quella milanese degli anni ’50, era infatti una struttura di profondo insediamento sociale guidata da un nome forte, espressione di un apparato di grande spessore, che si chiamava Guido Mazzali. Lui, Craxi, aveva lavorato duramente ed era arrivato presto alla gestione della cosa pubblica, consigliere e poi assessore del comune di Milano; ed anche di questa esperienza portava dentro un ricordo di operatività, costruttore, con gli altri, di una rete concreta a servizio di un’idea e costruttore di un piccolo gruppo di compagni (che poi rimasero sempre legati a lui da affetti e complicità) con cui fece un lungo percorso, fino ad arrivare al controllo di una Federazione che era un simbolo del socialismo, da Turati ai grandi sindaci del dopoguerra.

Il terremoto del Midas – A Roma invece, da giovane deputato eletto nel 1969 fino al momento in cui, sette anni dopo, divenne segretario del Psi, non aveva mai messo radici solide né fatto gruppo. Il suo ruolo al centro del partito era secondario, anche se non fu mai un “peones” qualsiasi, ma anzi un’intelligenza brillante e riconosciuta, di spiccata individualità, che nel ’72 era stato eletto vice-segretario per la corrente autonomista nell’alleanza che aveva vinto il congresso di Genova con il gruppone guidato da De Martino. Ma la sua personalità e, soprattutto, il suo essere guida di uno schieramento, rappresentativo di una tendenza forte, non apparvero mai nettamente fino al terremoto del Midas. Era un deputato milanese che a Roma si faceva i fatti suoi, che si guardava intorno con curiosità e voglia di capire ma che faceva innanzitutto una esperienza che sembrava di routine, obbligata dalla sua giovane età, dal suo essere leader di una piccola minoranza (in qualche maniera fuorigioco rispetto alla grande politica), dal suo atteggiamento quasi snobistico rispetto ai piccoli traffici di chi allora gestiva il potere centrale, nel partito e nel governo.
C’era un’eccezione esplicita in questo suo modo di essere, un’eccezione che la diceva lunga, per chi l’avesse voluta leggere, sulla sua caratura politica, sulla sua passione, sul suo sicuro avvenire: la politica estera. Su di essa era presente, informato, molto partecipe. Aveva le sue idee, tesseva relazioni di rilievo, era attivo nelle sedi che contavano, a partire dall’Internazionale socialista. E in questo campo non furono poche le occasioni che lo sospinsero verso la notorietà e il protagonismo, come la missione a Santiago immediatamente dopo il golpe cruento che aveva spodestato ed ucciso Salvador Allende e azzerato la democrazia in Cile.
Io lo conobbi e gli divenni amico in quel periodo, tra il ’74 e il ’75. Ero parte di un piccolo gruppo di cattolici che, guidati da Livio Labor, entrarono nel Partito Socialista al congresso di Genova, a fine ’72, dopo una sconfitta elettorale che aveva disperso le possibilità di costruire un partito di cattolici collocati a sinistra. Di questo gruppo, Covatta ed io fummo non solo eletti nel Comitato centrale, ma anche assunti come funzionari della direzione nazionale, dove andammo a lavorare a tempo pieno, tra piccoli sospetti e qualche tremore. Covatta si collocò in un costituendo centro studi di cui Labor fu nominato responsabile; io, dopo una prima fase di sbandamento, approdai a quella che era la sezione di lavoro più significativa, anche se non la più importante politicamente: quella dell’organizzazione. A capo di questo settore c’era un autonomista, l’unico autonomista di spicco nell’apparato di allora, Rino Formica; e fu così che, lavorando con lui nei due anni successivi, incontrai Craxi.
L’occasione non fu l’organizzazione, i problemi interni, il tesseramento, od anche il tentativo di fare una riflessione approfondita e una riforma conseguente sul modo di essere del partito socialista, che in quegli anni si realizzò in una conferenza nazionale. Craxi era interessato innanzitutto ai cattolici e voleva parlarne con me, immaginando che me ne intendessi: mi poneva domande, mi spingeva ad organizzare una ricerca su questo e su quell’aspetto, leggeva le carte che gli passavo, mi chiedeva di preparare incontri con ecclesiastici e personalità dell’area sociale e culturale del mondo cattolico. Cercai di aiutarlo a capire, a distinguere, a guardar nel profondo una realtà complicata che era allora giunta al culmine di una crisi profonda che si ripercuoteva nella politica, con lo sbandamento della Dc ante 1976 e con l’attrazione, che sembrava inarrestabile, della sua area progressista verso il Pci “vincente” del ’75-’76.
(1. – Continua)

SCHEDA BIBLIOGRAFICA

Gennaro Acquaviva ha promosso per Marsilio una collana di studi e documenti dedicati a “Gli anni di Craxi”, nei quali viene ricostruita un’epoca decisiva della nostra vicenda nazionale. Questi i dieci volumi, tutti gratuitamente consultabili e scaricabili.

1. LA POLITICA ECONOMICA ITALIANA NEGLI ANNI OTTANTA. A cura di GENNARO ACQUAVIVA Prefazione di PIERO CRAVERI. Venezia, settembre 2005, pagg. 358.
2. MORO – CRAXI. A cura di GENNARO ACQUAVIVA e LUIGI COVATTA. Prefazione di PIERO CRAVERI. Venezia, marzo 2009, pagg. 227.
3. LA GRANDE RIFORMA DEL CONCORDATO. A cura di GENNARO ACQUAVIVA. Venezia, settembre 2006, pagg. 191.
4. LA “GRANDE RIFORMA” DI CRAXI. A cura di GENNARO ACQUAVIVA e LUIGI COVATTA. Prefazione di PIERO CRAVERI. Venezia, febbraio 2010, pagg. 412.
5. LA POLITICA ESTERA ITALIANA NEGLI ANNI OTTANTA. A cura di ENNIO DI NOLFO. Venezia, settembre 2007, pagg. 347.
6. SOCIALISTI E COMUNISTI NEGLI ANNI DI CRAXI. A cura di GENNARO ACQUAVIVA e MARCO GERVASONI. Venezia, ottobre 2011, pagg. 398.
7. IL CROLLO. A cura di GENNARO ACQUAVIVA e LUIGI COVATTA. Venezia, novembre 2012, pagg. 1038.
8. I PRIMI TRENT’ANNI DEL CONCORDATO CRAXI-CASAROLI (1984-2014). A cura di GENNARO ACQUAVIVA e FRANCESCO MARGIOTTA BROGLIO. Prefazione di ALBERTO MELLONI. Venezia, febbraio 2016, pagg. 237.
9. DECISIONE E PROCESSO POLITICO. A cura di GENNARO ACQUAVIVA e LUIGI COVATTA. Prefazione di PIERO CRAVERI. Venezia, luglio 2014, pagg. 393
10. DEMOCRISTIANI, CATTOLICI E CHIESA NEGLI ANNI DI CRAXI. A cura di GENNARO ACQUAVIVA, MICHELE MARCHI, PAOLO POMBENI. Venezia, giugno 2018, pagg. 611.

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